Controllo del risultato finale

Nell’esperimento presentato in questo articolo abbiamo mostrato come analizzarea priori, cioè prima della produzione, il probabile comportamento colorimetrico del campione; Ovviamente è interessante verificare se le ipotesi fatte sono realistiche; in altre parole, vogliamo verificare se i risultati ottenuti in produzione sono giustificati da quanto emerso dall’analisi.

Partiamo da una constatazione: la simulazione fatta ci ha informato che solo il 37% dell’immagine da riprodurre è in gamut, quindi sappiamo a priori che  il 63% dell’immagine sarà riprodotta in modo approssimato, con i punti sulla superficie del gamut più vicini (abbiamo usato l’intento colorimetrico assoluto);

Una precisazione importante:la percentuale non è riferita al numero di colori nell’immagine ma alle aree; quindi potremmo anche avere solo il 5% delle aree fuori gamut, ma queste  potrebbero essere parti molto significative (ad esempio le venature di un marmo).

Per valutare il risultato finale abbiamo acquisito il campione prodotto con la stampa digitale, che presentiamo affiancato a quello originale, ed al simulato.

Per valutare i risultati, visionare il filmato che segue e che mostra i gamut delle immagini originale, simulato e effettivamente prodotto. Dal confronto emergono interessanti quesiti: ad esempio, perché il gamut dell’immagine di produzione risulta essere fuori dal gamut della stampante?

perché il gamut dell’immagine di produzione risulta essere  parzialmente fuori dal gamut della stampante?

Analizziamo il modo in cui viene calcolato il profilo della stampante. Cominciamo dal processo di linearizzazione; per caratterizzare un colorante, si misurano le variazioni delle sue coordinate colorimetriche in funzione della concentrazione; per prima cosa si stampano tabelle colore del tipo di quella sotto riportata:

Quindi se ne acquisiscono le celle colore, calcolando la media dei colori in ciascuna cella. Poiché la produzione (stampa) è fatto con tecniche di dithering, ciascuna cella non contiene un colore puro, ma un insieme di punti colorati che ne determinano l’aspetto. Ad esempio mostriamo qui sotto un ingrandimento di una delle celle: notare come l’area sia costituita da un insieme di punti di colore diverso (è anche evidente, purtroppo,  la scarsa qualità di stampa..). La cella misurata contiene 437 colori diversi su un totale di 5396 pixel acquisiti

Visualizzando i punti in Lab 3D, osserviamo quindi  non un punto, ma una nuvola di punti, a ciascuno dei quali corrisponde uno spettro di riflettanza (quindi 437..). La media ponderata delle misure dei pixel acquisiti sarà il colore della cella alla concentrazione desiderata. Quindi il colore per una certa concentrazione è dato dal valore medio della cella:  per misurare la riflettanza di un colore, utilizziamo in genere un’area minima (9 mm² con scanner spettrale). Quindi approssimiamo i punti della curva di diluizione di un colorante alle medie calcolate  per ciascuna cella alla concentrazione data:

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli spettri di riflettanza in figura mostrano le informazioni elaborate per il colore black  del gamut P1 che stiamo utilizzand; è evidanziata la curva di riflettanza per la concentrazione 59.4%.  Visualizzando in  3D i dati grezzi, cioè tutti i punti delle celle black nella pagina di linearizzazione, otteniamo questo:

 

Cosa ne deduciamo? Che la misura di un colore è un’idealizzazione del colore reale dell’area, necessariamente usata per la determinazione del profilo. Possiamo notare che mentre le linee di diluizione misurate sono completamente interne al profilo,  lo stesso non avviene con l’insieme di tutti i punti della pagina di linearizzazione acquisita con lo scanner ipersoettrale;

ed il video che segue ne mostra l’evidenza.

 

 

 

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